Un'economia della intermediazione

Una mia cara amica tempo fa mi chiese da dove attingessi principalmente per quanto riguarda notizie e aggiornamenti dal mondo accademico, politico, dalla cronaca, etc.
In realtà non le seppi rispondere, ma ero consapevole del fatto che Hacker News, un aggregatore di notizie legato alla VC firm YCombinator, fosse una delle prime risorse per importanza per ciò che riguarda le nerdate, oltre che un ottimo modo per perdere tempo e procrastinare per le persone come me che non hanno Instagram.
Tutta apologia per dire che mo’ vi beccate il mio rant ispirato ad un articolo trovato su HN. Tiè.

Un problema centrale della nostra economia è che gli imprenditori sono focalizzati sul controllo di ciò che gli altri producono, invece di produrre loro stessi.

Da piccino, quando capitava che qualcuno mi chiedesse se volevo fare lo stesso lavoro di mio padre rispondevo sempre di no. Mio padre lavora tuttora come rappresentante di commercio, e senza troppa coscienza di causa non mi è mai andata l'idea di diventare io stesso rappresentante di commercio.

Col tempo ho riconosciuto nel mio disprezzo per la professione un tratto caratteristico: il rappresentante non produce egli stesso valore, ma sfrutta la sua posizione privilegiata di intermediario. Da una parte sta chi produce un oggetto di consumo, dall'altra chi vende l'oggetto al consumatore: il rappresentante sta nel mezzo e ci guadagna il doppio, dal produttore/fornitore per avere accesso al consumatore, e dal rivenditore per avere accesso alla fornitura.

Per fortuna mio padre non si è curato delle mie osservazioni e delle mie riserve nei confronti della sua professione, i cui proventi hanno alimentato le spese per la conduzione di una vita mediamente agiata e hanno provveduto alla mia educazione nel corso degli anni. Tuttavia il problema dell’intermediario, su scale più grandi, rimane e diventa critico quando iniziano a formarsi dei monopoli.

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Google è il soggetto intermedio che esercita un monopolio per eccellenza. Google è un motore di ricerca, quindi fa coincidere un utente con un contenuto. E lo fa per una tassa, legata all'inserzione. L'entità di questa tassa è determinata dalla volontà e dalla abilità delle imprese di pagare l'accesso agli utenti, e dall'abilità dei canali di marketing di vendere accessi agli utenti. Grazie alla sua grossa quota di mercato (90% delle ricerche) Google ha l'abilità di offrire un accesso esclusivo.

Ci può sembrare riduttivo dire che Google costituisce un monopolio sulle inserzioni e sul marketing, ma come controesempio prendete l'esperimento di Amazon che in Messico provò a utilizzare tutti i mezzi di pubblicità fuorché quelli di Google, e ne soffrì moltissimo.

Questa logica è anche molto diffusa fra i Venture Capitalists. Ho partecipato recentemente un corso sull'innovazione e le startup, e uno dei mantra è valutare la cosiddetta moat trajectory, ovvero la traiettoria che la startup dovrà seguire per ricavarsi un fossato. Moat è uno dei termini resi popolari da Warren Buffett, e si riferisce all'idea che come in un castello medievale, il fossato serve a proteggere coloro che sono dentro alla fortezza e le loro ricchezze da coloro che stanno fuori. In termini economici, indica l'abilità di un'impresa di mantenere il suo vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti.

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Sono gli stessi VC a dire che loro cercano realtà che cannibalizzino il mercato e non “secchi bucati” con un buon introito.

Se tutto va bene, la prospettiva è che l'azienda sia capace di monopolizzare un intero segmento della catena di valore. […] Vogliamo aziende che siano capaci di generare Free Cash Flow a lungo termine, e non dei secchi bucati con grandi introiti.

A lungo andare questo genere di logica, che come abbiamo visto si sta applicando a piccole realtà ambiziose come a grandi multinazionali, della crescita sproporzionata degli intermediari, danneggerà la nostra democrazia. Di tutte le transazioni che vengono eseguite tra chi produce e chi consuma, finirà che gli intermediari si terranno una percentuale gonfiata. Avendo il controllo dei prezzi, gli intermediari possono rompere i mercati e indirizzare gli investimenti verso usi improduttivi. Ne parla nel suo nuovo libro Direct, la ricercatrice anti-monopolio Kate Judge.

Un problema centrale della nostra economia è che gli imprenditori sono focalizzati sul controllo di ciò che gli altri producono, invece di produrre loro stessi. Dobbiamo riprenderci il controllo delle transazioni, ritornare alle sorgenti della catena del valore per creare un’economia più sostenibile.

[Alcuni paragrafi sono tradotti dall’articolo originale].

 
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