Il problema non è il bere

La saggezza popolare fiorentina porta spesso molta sintesi in locuzioni ed espressioni brevi e chiare. Questo è il caso di una frase che fa per noi.

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Da qualche anno a questa parte ho avuto l'occasione di partecipare, assieme a moltissimi altri colleghi studenti dell'Università di Trento, ad un dibattito che in realtà si protrae da tempi immemori: la questione è quella che è stata etichettata con il nome di «movida», cui qualsiasi riferimento sulla stampa locale ha assunto una connotazione estremamente negativa. La querelle riguarda tutto ciò che ruota attorno al modo in cui le persone, in particolare i «giovani», trascorrono le proprie serate «a bere» e a «fare schiamazzi» provocando «disturbo alla quiete pubblica» e ledendo il «diritto al riposo».

Ho usato (e userò) i virgolettati per un motivo preciso: queste parole chiave sono ormai entrate nel dibattito pubblico come termini ben caratterizzati che incarnano una determinata sfera interpretativa della realtà. Questi termini fanno parte di un vocabolario, condito da altri canonici concetti accessori come «ordinanza» o «decoro», usato da chi riduce la questione ad una mera dicotomia tra chi «vuole la tranquillità ed il sonno» e chi invece «vuole divertirsi, bere e fare rumore». Comprendere l'inadeguatezza del linguaggio utilizzato è un punto di partenza per colmare la profonda cerniera che si è aperta tra i vari attori della questione.

Le parole sono importanti #

L'occasione per cui mi trovo a voler riportare all'attenzione l'eterna questione della vita notturna è l'ennesima pubblicazione di un'ordinanza del neo-Sindaco Franco Ianeselli che appena insediato lancia un anatema contro esercenti e cittadini della notte (i night owls) vietando dalle 22 alle 6 del mattino ogni forma di vendita, somministrazione, consumo e detenzione di qualsiasi bevanda al di fuori del locale fino al 31 Gennaio 2021. Del resto questa si preannuncia essere una direzione presa anche dal Governo, in vista del prossimo DPCM.

Si tratta di un'ordinanza straordinariamente più forte delle precedenti, sia nella sua enumerazione di divieti che nella sua estensione temporale. La giustificazione, ormai diventata un asso pigliatutto per giustificare qualsiasi sorta di restrizione, è il «distanziamento sociale», emersa dopo un incontro con il Comitato provinciale per l'«ordine» e la «sicurezza pubblica». Una fiera di termini abominevoli, e sicuramente un chiaro segnale che probabilmente la campagna elettorale sia giunta al suo termine.

“Je ne vous dis pas que c'est un joli terme. Je sais que c'est un concept qui nous rebute, nous, Français, parce que nous sommes un peuple qui aime se rassembler, un peuple joyeux, heureux de vivre ensemble, peut-être même encore un peu plus quand la peur commence à gagner les esprits.” Édouard Philippe, 14 Marzo 2020

Non vi dico che sia un bel termine. Dico che è un concetto che ci disgusta, a noi francesi, perché siamo un popolo che si ama riunire, un popolo gioioso, a cui piace vivere insieme, forse ancor di più quando la paura inizia ad impadronirsi dei nostri spiriti.

Tra l'altro la reazione degli esercenti al provvedimento è stato estremamente scomposta e curiosa, sotto un certo punto di vista: alcuni locali si sono opposti all'ordinanza (in particolare sul Corriere del Trentino di oggi, 10 Ottobre 2020, trovate un articolo in cui i gestori del bar Matrix e dell'osteria La Scaletta si oppongono al provvedimento), mentre altri che non fanno parte della cosiddetta «zona rossa» hanno comunque deciso di adeguarsi ad un provvedimento che, al momento, non li riguarda. Scelta quanto meno singolare, figlia forse di una sorta di Sindrome del Minniti per cui in qualche modo finché è il centrosinistra a governare va bene tutto, anzi si usa pure fare il tifo.

A questo punto mi si accuserà di negazionismo e di voler attentare alla salute dei nostri concittadini, in quella che sembra essere ormai diventata una nuova caccia all'untore.

Tutt'altro! Non nego problematicità di situazioni in cui difficilmente si può garantire l'applicazione di prescrizioni per evitare il contagio come l'uso della mascherina, il distanziamento fisico, come del resto non nego la problematicità del fastidio che una frotta di persone in piena notte possa provocare a chi il giorno dopo «si deve svegliare presto per andare a lavorare» (concedetemela una!)

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Tuttavia la reazione del neo-Sindaco (e, presumibilmente tra pochissimo, del Governo) dimostra un approccio molto riduttivo e semplicistico ad una questione che ha una serie di complesse articolazioni che, se ignorate, rischiano di acuire ancora di più il divario ideologico tra night owls, esercenti e residenti. Vediamo come.

Come ho voluto evidenziare in precedenza, il linguaggio adottato dalla nuova amministrazione ricalca esattamente gli stigmi della «movida», contribuendo all'inasprimento del dibattito. Confido sul fatto che questa scelta linguistica sia stata fatta in buona fede: (per fortuna o) purtroppo, tuttavia, le parole sono importanti, e la loro scelta è determinante al fine di mantenere delicati equilibri sociali. Piccola nota a latere: il tono paternalistico ma liberale con cui il neo-Sindaco si rivolge specificatamente ai «giovani» (“Siate responsabili”) ricorda nel tono adottato molto il topos zizekiano del post-modern, non-authoritarian father o boss, paradigmatico a parere del filosofo di una delle forme più pericolose di autoritarismo. Oltretutto, ci si indirizza ad una determinata fascia sociale contribuendo ad una stigmatizzazione ancora più forte nei confronti dei cosiddetti «giovani». Gli avventori più attempati non hanno la stessa responsabilità nei confronti della salute pubblica?

“The problem is that this [the polite boss] not only covers up the actual relationship of power, but makes it even more impenetrable. In a way it’s much easier to rebel [to the authoritarian boss] than to have a friendly boss. Well then it is almost impolite to protest! That is, for me, a paradigm of modern permissive authority, and I am horrified by this.” Slavoj Zizek, Political Correctness is a More Dangerous Form of Totalitarianism

Il problema è che il capo liberale non solo maschera la reale gerarchia, ma la rende ancora più impenetrabile. In un certo senso è molto più facile ribellarsi al capo autoritario che avere un capo amichevole. Sarebbe da maleducati protestare a quest'ultimo! Questo, per me, è il paradigma dell’autorità permissiva moderna, e ne sono disgustato.

Un dialogo esclusivo #

La sintesi dell'ordinanza passa per tre soggetti: i residenti, il Commissariato di Governo, gli esercenti. I primi due sono coloro che hanno richiesto un intervento dell'amministrazione comunale, gli ultimi sono stati semplicemente informati dei fatti. Il grande assente in questi scambi sono gli utenti, che non sono stati minimamente chiamati a contribuire (anche con dei richiami al rispetto delle regole che non si può limitare alla dichiarazione a mezzo stampa…), su cui è stata calata questa scelta in una dinamica totalmente verticale. Ricordo a chi ha la memoria corta o ha appena approcciato alla questione che vi sono state innumerevoli e lunghe discussioni su strumenti regolamentari per facilitare il dialogo e avvicinare le varie parti nel corso dello scorso anno. Trovate alcuni articoli catalogati qui. Sarebbe un peccato archiviare questi tentativi in modo così affrettato.

Se facciamo attenzione al provvedimento, vediamo inoltre che l'approccio alla questione addita ingiustamente coloro che scelgono forme di socialità al di fuori dell'offerta commerciale: il godimento di una forma di socialità come quella del «bere una birra» è circoscritta solamente a coloro che vogliano (e soprattutto si possano permettere di) consumare il prodotto nell'ambito dell'attività commerciale. Il problema purtroppo permanente, e non solo contingente, si dirama su due questioni annose: l'assenza di alternative commerciali e l'assenza di alternative non-commerciali.

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Inutile rigirarci intorno, il grande nemico dell'ordine pubblico ormai ha un nome: “La Scaletta”. All'apparenza un innocuo bar, che secondo la narrazione comune si trasforma nella benzina che alimenta il fuoco distruttivo di bifolchi e giovani maleducati che devastano la città. Accostando il sarcasmo, è ovvio come la sfilza di ordinanze che si riversano sulle attività commerciali di Trento in realtà abbiano un obiettivo ben definito.

Se il vero problema fosse il distanziamento fisico non mi immagino quali altri attività che scandiscono le nostre giornate dovrebbero essere bandite, senza pensare poi al rischio che corre chi vi partecipa. Ve lo immaginate il centro storico presidiato dalle camionette della polizia durante il mercato del Giovedì?

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La cosa assurda, tuttavia, ritengo essere il fatto che nessuno si sia mai chiesto, sinceramente, perché da qualche anno a questa parte quella sia diventata «la zona problematica» del centro storico tridentino (che, nota storica, prima era Santa Maria Maddalena, e che prima ancora era Piazza Mostra, che prima era…). Evidentemente si tratta di un locale come gli altri, ma che a differenza di tutto il resto del mercato offre dei prodotti a prezzi sufficientemente competitivi da attrarre gli avventori. Ma allora il problema è l'esercente che ha quel tipo di offerta o il fatto che non esista un'alternativa che offra una comparabile convenienza?

Il problema non è il bere… è il ri-bere! #

L'ultima domanda non ha una risposta ovvia. La ulteriore questione da problematizzare, infatti, è la cattiva abitudine dell'andare a bere per divertirsi. A scanso di equivoci, tuttavia, dobbiamo riconoscere una cosa: quello del bere è un ripiego, non è una scelta deliberata. Le masse di persone, trovando una città che dopo le 20:00 è praticamente spenta in tutte le sue parti, si riversano su quella che sembra essere l'unica occasione per incontrarsi con i propri amici, conoscere nuove persone, condividere esperienze. Perché non incentivare forme alternative di incontro e condivisione?

La socialità e la condivisione come riscatto dall'isolamento #

In Italia la parola «centro sociale» è un tabù, perché coerentemente con il vocabolario delle banalità è un concetto relegato alla cosiddetta «sinistra antagonista». Tuttavia bisogna riconoscere che nella più essenziale delle sue accezioni, (quasi) non esistono luoghi o offerte alternative a esperienze come il CS Bruno. Anche i circoli Arci del centro storico, diversamente dalle esperienze dei circoli Arci del centro Italia, in fin dei conti subordinano la condivisione al consumo, trasformandosi praticamente in bar. E allora è facile e fuorviante additare il Centro Sociale come «covo di comunisti», quando nessun altro si è preso la briga di costruire una tale dimensione comunitaria. È ugualmente facile e fuorviante «risolvere il problema della movida» «a colpi di ordinanza», togliendo di mano alla società quello che, al momento, sembra essere l'ultimo lumicino di condivisione in una società già ampiamente lacerata da lunghi mesi di isolamento.

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In precedenza dico quasi, perché recentemente si è svolto un esempio dei pochi (se non l'unico) tentativi di ricucire il tessuto sociale: il Poplar Festival, che in tempi di difficoltà assoluta per il settore degli eventi dal vivo e delle arti performative è riuscito a portare in quattro luoghi iconici di Trento artisti celebri ed emergenti della musica italiana, oltre a puntare i riflettori sulle tematiche proposte da scrittori e attori della società contemporanea. Il festival, che negli anni precedenti si è svolto al Parco delle Albere, ha comunque trovato un modo di ripensarsi pur non senza alcuni drawbacks (il limitato numero di partecipanti, l'assenza delle associazioni del territorio).

Devo ammettere che sono stato un po’ ingeneroso con il primo cittadino, che in una recente intervista afferma che “È una questione su cui dobbiamo lavorare, trovare alternative e spazi, dei luoghi dove il divertimento possa svolgersi consapevoli che c'è un'emergenza sanitaria”. Però io sono come San Tommaso: non vedo, non credo!

Weird flex, and not OK! #

Fatemi fare un piccolo commento: che tristezza vedere queste scene in cui, come commenta un mio collega, “c'è della piazzetta in quella polizia”…

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Ricordo quando discussi con l'Assessore Roberto Stanchina (oggi vicesindaco), ai tempi delegato all'Economia ed al Turismo. Come gruppo di studenti gli suggerimento di collaborare anche con il corpo di Polizia Locale: da una parte per creare un presidio che avesse funzione non sanzionatoria e punitiva ma deterrente rispetto ai comportamenti più irrispettosi (chi lascia il regalin, chi orina, chi urla, etc.). Soprattutto però tenevamo al fatto che il rapporto con l'agente (ruolo che, al momento, spetterebbe agli assistenti civici: ve li ricordate, che fine hanno fatto?) si trasformasse in un rapporto di fiducia, che evidentemente al momento è difficile da percepire da entrambi le parti.

Per tutta risposta ci venne detto che non vi erano le risorse, sarebbe stato troppo oneroso: fa molta rabbia vedere che invece vi sono le risorse per dispiegare un contingente sproporzionato pari a quaranta agenti della Polizia Locale, della Polizia di Stato, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, oltre ad un'unità mobile e addirittura un'unità cinofila. Direi che queste scene mi ricordano certi passaggi del programma elettorale dell'avvocato Merler. Tutto sommato, non gli è andata malissimo.

E quindi? #

Mi sento di dire che tutto questo è frutto di una riflessione che parte da molto prima: la discussione che abbiamo avuto nel corso dello scorso anno è stata di grande aiuto per dipanarsi in una tematica sicuramente molto difficle e delicata. Per fortuna ci giungono in aiuto queste riflessioni, oltre ad esperienze di altre città italiane ed europee. L'aspetto più squisitamente italiano della vita notturna è stato analizzato in tempi pre-pandemici da Alessia Cibin, attualmente ricercatrice alla University of Technology di Sidney, nell’articolo “La città di notte: interrogativi per le città italiane” sulla rivista dell'Istituto Nazionale di Urbanistica.

“Sarebbe auspicabile disporre di un più strutturato quadro conoscitivo di riferimento per definire il fenomeno dell’economia della vita notturna, conoscerne le pratiche, gli attori e le implicazioni urbano-territoriali. Attraverso studi interdisciplinari e un compiuto dibattito sarebbe possibile acquisire ulteriore conoscenza circa l’impatto economico, sociale, culturale e urbano delle città italiane; consapevolezze sulle opportunità-criticità della vita notturna, necessità di governare il fenomeno e le implicazioni territoriali che il suo non governo comporta. Tutto ciò deve essere motivo di convergenza di urbanisti, politici, amministratori, società civile e rilevanti stakeholders della notte.” Alessia Cibin, “La città di notte, interrogativi per le città italiane”, Urbanistica Informazioni 283, 72-74.

In modo caustico ed un po’ polemico, questo è un mio appello per aprire il dialogo (seppur in ritardo) con chi evidentemente si sente colpito da questi provvedimenti.

Non rivolgetevi solo agli studenti, fate un appello pubblico! La segregazione, anche generazionale, è il peggior nemico di un dibattito pubblico ampio e non distorto. Vogliamo, una volta per tutte, dimostrare che la Città non si conduce «a colpi di ordinanza» ma attraverso un dialogo costante, o come piace dire a qualcuno un «fiume di idee»?

Infine l'ultimo appello è: non lasciateci soli. Il tessuto sociale di questa Città, martoriato da mesi e mesi di solitudine e isolamento, ha bisogno di riconquistare gli spazi che le spettano: sì, con il distanziamento fisico e la mascherina, ma anche con un bell’assembramento sociale.

 
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